Me lo ricordo come fosse ieri, la prima e unica volta che ho fatto a botte, ero nel cortile davanti a casa mia e avevo incontrato un ragazzino che veniva alle elementari con me, Massimo, era uno di quei ragazzini odiosi sempre pronti a darti noia, uno di quegli stronzetti di periferia che non sanno capire che le persone hanno dei sentimenti, che non si gioca con le debolezze degli altri, uno che godeva profondamente a bullizzare, parola moderna, il prossimo. Io non è che fossi un fisico, un duro, con i miei occhiali, il mio libro sotto braccio, a sedere a farmi gli affari miei, non ricordo da cosa nacque la provocazione, forse solo dal fatto che amavo leggere e preferivo quello al giocare a pallone, al mischiarmi a quella torma impazzita e sclerante per una palla che rotola senza senso, su un un campo di plastica in una periferia corrotta, una periferia dormitorio, uno di quei posti senza senso e senza sbocchi, in cui la gente torna a casa solo per dormire, chiude le serrature della propria porta di casa con tripla mandata e manda affanculo tutto quello che c’è fuori. Perchè fuori non c’è nulla, se non strade deserte alle nove di sera e lampioni che illuminano gli sbandati del posto che ciondolano al bar “La tedesca”, tra uno sprizt e un tiro di bamba sugli specchietti dei motorini parcheggiati
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